
Un po' di storia
Opere fondamentali di bonifica in Italia certamente risalgono alle civiltà preromane. Non sono pensabili senza di esse gli stanziamenti greci nei territori tirrenici e ionici del continente meridionale e della Sicilia, fiorenti già nell’ottavo secolo a.C.; e, nei medesimi tempi, la potenza etrusca nel Lazio, in Toscana e nella valle del Po. Poi l’opera di Roma di cui restano non poche vestigia: le sue strade, i suoi acquedotti, i suoi canali per prosciugare, fognare, irrigare; soprattutto la sua inconfondibile opera di colonizzazione.
Ma - mentre non è da dimenticare che, nel periodo più fiorente di Roma, la popolazione d’Italia non superò probabilmente i 10-12 milioni - ricordiamo che già prima della fine della Repubblica Romana erano in decadimento i territori greci ed etruschi, con pianure litoranee invase da paludismo e malaria; che dopo l’età augustea tutta la penisola entrò in un periodo di decadimento economico, di concentramento della proprietà terriera, di impoverimento demografico; che poi dalla fine del terzo secolo d.C. si accelerò quel processo caratterizzato dall’abbandono di terre già coltivate, dall’estensione di vegetazione incolta (boschi, pascoli), dal disordine delle acque, dal flagello malarico, dalle rovine di città e dei loro scambi con le campagne; insomma dal ripreso dominio della natura sull’opera dell’uomo volta a imbrigliarla e piegarla ai suoi bisogni.

“Ora et labora”
Alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente - nel quinto o sesto secolo - l’Italia non contava probabilmente più di 5 o 6 milioni di abitanti. In questo periodo di incertezza la popolazione più debole accorreva presso i grandi proprietari che, data la debolezza dell’autorità centrale, garantivano non solo le produzioni agricole, ma anche le elementari produzioni artigianali.
Non mancarono anche iniziative maggiori da parte di monasteri, vescovi, papi: S. Benedetto aveva insegnato “Ora et labora”.
Nonostante questo, solo una parte delle terre del grande dominio fondiario era sottoposta a coltura: il resto era lasciato incolto, per uso comune di legna e pascolo da parte della popolazione. Nei vastissimi patrimoni di chiese e monasteri si andò sviluppando un profondo rivolgimento del regime fondiario; gran parte della proprietà era frazionatamente concessa a contadini e tale concessione era regolata da svariati tipi di rapporti, ma tutti, più o meno, prevedenti l’obbligo del miglioramento della terra e la possibilità del godimento come diritto ereditabile ed alienabile. A questo processo storico si affiancò il ripopolarsi di molte città ed il rifiorire di attività commerciali e artigiane: anche la terra ridiventò oggetto di commercio e, quindi, si risvegliò l’interesse al dissodamento che fu compiuto, in primo luogo, dai contadini che coltivarono e migliorarono le loro piccole terre con le modeste opere alla loro portata

La nascita dei Consorzi
L’attività bonificatrice - se da parte dei contadini era sempre prevalentemente rivolta a dissodare e piantare terre incolte - si estende talora da parte dei monasteri a maggiori opere idrauliche, per difesa dalle acque, per prosciugamento, per irrigazione.
Queste opere favorirono un processo di rifioritura commerciale che prese forza a poco a poco fino a sfociare nell’età comunale.
Gli statuti dei grandi Comuni e delle Comunità rurali (organi pubblici e collettivi interessati al riscatto della terra) contengono numerosi capitoli riguardanti la regolazione e derivazione delle acque, la costruzione e manutenzione degli argini, dei ponti, delle strade, dei canali di prosciugamento o di irrigazione; essi rivelano altresì il nascere o rinascere di tutta una serie di norme volte a regolare i rapporti fra i singoli nell’opera di conquista, difesa, godimento delle terre e delle acque, a dare ad essa impulso, coordinamento, integrazione. E’ in questi tempi che sorgono i Consorzi, originariamente libere associazioni di proprietari per l’esecuzione e la manutenzione in comune di opere di bonifica, che poi i Comuni agevolarono, regolando le derivazioni d’acqua dai fiumi e le servitù di acquedotto ed irrigue; rendendo i Consorzi, sotto determinate condizioni e limiti, obbligatori; codificando infine il principio della partecipazione alle spese in ragione dell’interesse alle opere.

L’affermazione dei Consorzi
Opere di miglioramento fondiario, per iniziativa di grandi e piccoli proprietari, si estesero: soprattutto vasti dissodamenti di terre collinari e nuove piantagioni, con diffusione, in particolare, di gelsi-bachicoltura: è in questi secoli che assume grande sviluppo l’industria della seta. Nella bassa Valle Padana e nel Veneto, questo è un periodo di grandi iniziative, seguite a quelle dei Comuni, così per difesa e bonifica idraulica delle terre come per navigazione interna.
I Consorzi per retratti (di bonifica) furono preceduti da quelli di difesa e riparo dei fiumi, con prevalenti compiti di manutenzione e contribuenza, collegati col Magistrato alle acque; sicuramente il loro sviluppo è dovuto all’istituzione del Provveditorato dei Beni inculti del quale essi erano organi.
La loro partecipazione all’attività bonificatrice avveniva generalmente così: riconosciuta un’opera di bonifica utile allo Stato, e come tale da questo approvata, i proprietari interessati erano invitati a costituirsi in Consorzio per provvedere alla sua esecuzione: se essi, almeno per la maggior parte, non consentivano, il Consorzio era obbligatoriamente costituito per ordine della Repubblica. Alla esecuzione delle opere i Consorzi provvedevano, sotto stretto controllo dello Stato, con mezzi finanziari tratti dai contributi consortili (campatici, imposta sui terreni da bonificare introdotta a Venezia nel 1655 durante la guerra di Candia), che erano ripartiti fra i singoli proprietari in ragione del beneficio ricevuto.

La bonifica diventa legge
La prima legge organica sulla bonifica vide la luce nel 1882. Si trattò di una “legge speciale” in quanto non applicabile a tutti i territori del Regno, ma soltanto a quelli inseriti nei “comprensori” delimitati con decreto reale.
La bonifica fu concepita come strumento di risanamento igienico soprattutto per la lotta contro la malaria e perciò ne riconosceva la competenza allo Stato.
Nel 1900 fu promulgato un nuovo Testo Unico della bonifica che coordinò la precedente legislazione, modificò la contribuenza per la realizzazione delle opere (60% Stato, 10% Provincia, 10% Comuni, 20% privati; anticipazione della spesa da parte dello Stato con rimborsi in rate senza interessi da 5 a 30 anni) e l’istituto della concessione per la realizzazione delle opere (introdotto nel 1886 a favore dei Consorzi concepiti come organi di decentramento funzionale dello Stato sia per la progettazione e l’esecuzione delle opere, che per la raccolta dei contributi dei privati) estendendolo anche a Comuni e Province. Intanto prendeva corpo il concetto che la bonifica di un territorio non potesse realizzarsi soltanto con opere idrauliche e stradali, ma si dovesse proiettare verso una nuova vivificazione del territorio che non poteva che iniziare da una valorizzazione agricola dello stesso. Prendeva corpo, cioè, il concetto di “bonifica integrale”.